Essere Donna |
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In epoca romana le femmine venivano sistematicamente soppresse appena nate a parte le primogenite. Esse portano solo
il nome della famiglia paterna mentre i maschi ricevono un prenome distintivo
che li differenzia dai fratelli. La patria potestas (il potere dell’uomo,
padre o marito) era assoluta. Il matrimonio era la condizione
legale entro la quale veniva generata la discendenza. Fondato sull’unione
carnale tra l’uomo e la donna, il matrimonio era l’istituto giuridico e sociale
essenziale della società romana, poiché all’interno del matrimonio nascevano i
figli e si assicurava la continuazione della stirpe. Dirigevano la vita della casa ed
erano delle preziose consigliere. Non di rado le donne romane hanno preso parte,
seppure in modo indiretto, alla gestione degli affari politici della città. Potevano disporre, comunque, della
dote e del patrimonio del marito nel testamento. Le donne romane, infatti,
godevano della parità successoria. In genere, soprattutto con
riferimento alle vedove, la città assegnava alle donne bisognose un tutore, per
circondare i loro atti giuridici di validità legale. attraverso la
cerimonia religiosa della confarreatio (la spartizione delle focacce di
farro, cereale d’antichissima coltivazione); attraverso la cerimonia laica della
coemptio (una vendita simulata); oppure attraverso l’usus (la
coabitazione continua per un anno): in questo caso la donna era considerata
simile a qualunque altro bene, il cui possesso continuato si trasformava per la
legge romana in proprietà. Certo è, comunque, che le donne nella città erano più
soggette alla podestà maritale che non nelle campagne, dove il loro lavoro era
maggiormente apprezzato perché contribuiva alla sopravvivenza e al benessere del
nucleo familiare. Molto probabilmente
esse ricoprivano anche cariche sociali e religiose. “Se scopri tua moglie in adulterio, senza giudizio impunemente la ucciderai, se tu hai commesso indecenze o adulterio, essa non osi toccarti con un dito: non ne ha diritto”. |