Home Page
| |
GRECIA
La religione Greca affonda le proprie radici nella civiltà micenea da cui
deriva.
Le divinità vivono una loro vita, senza interferenza diretta con la realtà
dell’uomo, e sono pensate con comportamenti mutuati dalla società umana. Benché
Zeus fosse il sommo dio, i greci lo consideravano più il governatore del mondo
che il suo creatore. La sua supremazia era limitata dal fatto che gli altri dèi
possedevano volontà e funzioni indipendenti.
Con l’eccezione di Sparta antica, le donne greche avevano una libertà molto
ridotta fuori casa: potevano frequentare matrimoni, funerali, feste religiose e
potevano visitare donne vicine di casa per brevi periodi di tempo. Il loro
lavoro era governare la casa ed educare i bambini.
La maggior parte delle donne greche libere non eseguiva personalmente le
faccende domestiche, ma le faceva eseguire agli schiavi e alle schiave. Schiavi
maschi sorvegliavano la porta per assicurarsi che nessuno entrasse quando l’uomo
di casa
andava via, a parte vicine di casa femmine, e facevano da tutori ai giovani
figli maschi. A mogli e figlie non era permesso assistere alle gare atletiche
perché gli atleti gareggiavano nudi. Partecipare alle corse equestri era l’unica
concessione fatta alle donne, ma solo alle padrone dei cavalli; se il loro cavallo vinceva esse
ricevevano il premio.
In Grecia esistevano le mogli, che si dedicavano esclusivamente all’educazione
dei figli legittimi; le concubine, che avevano rapporti
sessuali stabili con l’uomo; le etere vere e proprie, che i Greci riservavano
“per il piacere”.
Erano queste
ultime figure un po’ diverse e definibili come le uniche donne veramente libere
dell’Atene classica.
Erano
affascinanti da un punto di vista sia esteriore che psicologico, dal momento che
esse, di solito, viaggiavano molto ed erano molto istruite. Esisteva inoltre la
prostituta, che svolgeva il suo lavoro nelle strade o nelle case di tolleranza
e alla quale spettava l’ultimo “gradino” nella scala sociale.
Sparta e
Atene
A Sparta le ragazze andavano a scuola, erano libere di muoversi e godevano di
molta libertà. Non si sa se la loro scuola fosse crudele o dura come la scuola
dei ragazzi, ma alle ragazze erano insegnate lotta, ginnastica e abilità di
combattimento; questo sia perché era necessario che difendessero le città quando
gli uomini erano lontani, sia perchè gli Spartani credevano che giovani donne
forti avrebbero prodotto bambini forti. Spesso gli stessi allenamenti erano
promiscui e, non di rado, le
donne spartane erano vincitrici di competizioni olimpiche.
All’età di 18
anni, se una ragazza di Sparta superava le sue prove di adattamento, abilità, e
coraggio le veniva assegnato un marito e le era permesso di tornare a casa; se
falliva perdeva i suoi diritti di cittadina.
Le donne ateniesi, per contro, vivevano quasi in caste, isolate dalla vita
sociale delle città. Uscivano raramente e sempre accompagnate, non incontravano
quasi mai gli uomini e non sceglievano il marito. Vi erano tuttavia delle
categorie di donne che, per il lavoro che svolgevano, avevano più libertà e spesso anche una
maggiore influenza nella vita delle città.
Alcune di
queste donne, ritenute prostitute sacre (ierodoulai), si vendevano nei templi e,
consacrate alla divinità, devolvevano
i loro guadagni al tempio che le ospitava, godendo per questo di particolari agi
e privilegi, oltre ad una posizione nella scala sociale più elevata rispetto
alle comuni prostitute.
Le etere vere e
proprie, che i Greci riservavano per il piacere, erano figure un po’ diverse e
definibili come le uniche donne veramente libere dell’Atene classica: esse
potevano uscire senza proibizioni e partecipavano con gli uomini ai vari
banchetti, godendo anche di una certa importanza.
Note
Nei libri della Repubblica, il filosofo ateniese Platone (427-347 a.C.)
sosteneva che le donne potevano governare lo Stato in qualità di reggitori
esattamente come gli uomini. Questa teoria è assolutamente rivoluzionaria per il
tempo (e anche per i
molti secoli a venire), ed è supportata dalla convinzione di Platone che le
donne possiedano la stessa ragione degli uomini: devono quindi ricevere la
stessa educazione ed essere sollevate dall’obbligo di accudire i figli e la
casa.
Il filosofo
greco Aristotele (384-322 circa a.C.) aveva ben altra opinione delle donne.
Diceva, infatti, che alla donna mancava qualcosa: in altre parole era da
considerare un “uomo incompleto”.
Nell’atto
riproduttivo, ad esempio, la donna è passiva e l’uomo attivo e, a suo parere, il
bambino ereditava soltanto le qualità del padre.
|