LA VIOLENZA SULLE
DONNE
L’utilizzo di termini come abuso coniugale, maltrattamento in famiglia, abuso
sessuale su minori tende a nascondere il carattere di genere della violenza,
prospettando una reciprocità che, invece, è contraddetta dall’esperienza.
La violenza sulle donne è una violazione dei diritti umani; difatti, la
Dichiarazione delle Nazioni Unite del 1993 sulla sua eliminazione proclama i
diritti umani a pieno titolo delle donne, e fornisce una chiara e completa
definizione del concetto che viene individuata in “qualsiasi atto di violenza
per motivi di genere che provochi o possa verosimilmente provocare danno fisico,
sessuale o psicologico, comprese le minacce di violenza, la coercizione o
privazione arbitraria della libertà personale, sia nella vita
pubblica che privata”.
Questa Dichiarazione sancisce inoltre che la violenza sulle donne è “la
manifestazione di un rapporto tra uomini e donne storicamente diseguali, che ha
condotto gli uomini a prevaricare e discriminare le donne” e che “la violenza
sulle donne è uno dei meccanismi sociali decisivi che costringono le donne a una
posizione subordinata agli uomini”.
La violenza domestica comprende tutti quegli abusi che avvengono in casa o nel
contesto familiare ed è la forma di violenza sulle donne più diffusa nel mondo.
L’universo femminile di ogni classe sociale, razza, religione ed età subisce
terribili abusi da parte degli uomini, spesso gli stessi con i quali si
condivide la vita.
La
violenza domestica rappresenta una violazione del diritto delle donne
all’integrità fisica e psicologica e si manifesta in varie forme: abusi fisici e
psicologici, atti di violenza o tortura, stupro coniugale, incesto, matrimoni
forzati o prematuri, crimini d’onore. Il fenomeno, spesso mai denunciato, ha
cifre spaventose: si conta che almeno il 20% delle donne, a livello mondiale,
abbia subito abusi fisici e violenze sessuali.
È soprattutto la strategia della paura, più che i maltrattamenti fisici, che
tiene la donna in uno stato di timore costante che la violenza possa esplodere
in qualsiasi momento.
La
mancanza di controllo sulla propria incolumità fisica determina uno stato di
incertezza e di difficoltà permanente, che porta la donna a cercare di
compiacere il partner per evitare che si verifichino episodi violenti.
È una vera tortura mentale ed emotiva, che la fa sentire come un ostaggio o
prigioniero di guerra.
Il 25
novembre 1960, su una strada di montagna della Repubblica Domenicana, furono
violentate e assassinate Mate, Minerva e Patria, le sorelle Mirabal, impegnate
nella lotta di liberazione contro la dittatura del generale Rafael Trujillo.
Le tre sorelle, soprannominate Inolvidables Mariposas (Farfalle
Indimenticabili), sono diventate il simbolo della lotta alla violenza contro le
donne.
Nel 1999 l’ONU ha reso ufficiale la ricorrenza proclamando il 25 novembre
Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne.
INFIBULAZIONE
La pratica della mutilazione dei genitali femminili è antichissima ed è
difficile stabilirne l’origine. Era presente in molte antiche civiltà,
probabilmente già al tempo dagli Egizi (alcuni rilievi delle tombe egizie della
VI dinastia, 2340 a.C. circa, sono una
probabile testimonianza di circoncisione femminile, ma certi archeologi
affermano che anche in certe mummie ben conservate si può trovar traccia di
clitoridectomia).
Erodoto (V secolo a.C.) cita i Fenici, gli Hittiti, gli Etiopi e gli Egiziani
come popoli in cui si praticava l’escissione. Anche i Romani e i Greci
l’attuavano, allo scopo di ridurre il desiderio sessuale femminile.
Le
pratiche dell’escissione del clitoride e dell‘infibulazione in Africa sono
antecedenti all’arrivo del cristianesimo e dell‘islam.
L’idea che governa questa usanza è la credenza che questo rito di iniziazione
permetta alla ragazza di restare pura per la notte di nozze in modo che il
marito non l’abbandoni per la vergogna.
Anche
se attualmente è una pratica quasi del tutto abbandonata), era in vigore in
Europa e negli Stati Uniti fino al tutto l’Ottocento.
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