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NOVECENTO (Inizio)
In
questo secolo appena terminato la donna si emancipa, ottiene la parità di voto e
l’uguaglianza, fino quasi ad una notevole radicalizzazione che sfocia talvolta
in un rifiuto dell’uomo. Per dare alcuni riferimenti principali del progressivo
affrancarsi della donna, il 19 giugno del 1902 viene approvata la legge che regola il lavoro
delle donne e dei fanciulli mentre, nel 1910, la Conferenza Internazionale dei
movimenti femminili, riunitasi a Copenaghen, in ricordo di un gruppo di operaie
vittime di un infortunio sul lavoro aveva lanciato la “Giornata mondiale della
donna”, fissandola per l’8 marzo di ogni anno.
Durante la Prima Guerra Mondiale la donna sostituì in parte l’uomo impegnato al
fronte e diede prova in fabbrica di saper assolvere compiti di notevole impegno
ma, con l’avvento della dittatura fascista, il lavoro femminile fu in tutti i
modi boicottato e
il diritto al lavoro per le donne venne addirittura negato per legge; il ruolo
che il regime le assegnò fu quello di fare figli per il rinvigorimento e
l’accrescimento della stirpe.
Dopo la caduta del fascismo, che aveva arrestato anche il movimento di
emancipazione femminile, il problema si ripropone in tutta la sua urgenza con la
proclamazione della Repubblica, e un primo risultato si ottenne nel 1945 quando
un decreto di Umberto di Savoia concesse alle donne il diritto di voto ad esse,
per la prima volta, andarono alle urne nel 1946. Famiglia e maternità sono la
centro delle battaglie che le donne sostengono in questo secolo.
Nel 1963 papa Giovanni XXIII nella sua enciclica Pacem in terris indicava
nell’avanzata della donna un “segno dei tempi” e le riconosceva solennemente il
diritto al lavoro come parte essenziale della sua personalità.
Un decennio più tardi, con la riforma del diritto di famiglia del 1975, è stata
abolita la figura del capofamiglia e la donna e l’uomo hanno, almeno sulla
carta, pari diritti e doveri: ogni decisione che riguardi la coppia ed i figli
va presa in comune accordo,
senza prevaricazioni e la potestà spetta ad entrambi i coniugi.
Tra le donne di rilievo del primissimo Novecento si ricorda Amalie Emmy Noether
(1882 -1935), matematica tedesca figlia e sorella d’arte, la quale studiò
all’università come uditrice, poiché le donne non potevano iscriversi alle
facoltà. Insegnò tuttavia in modo ufficioso in alcuni corsi di laurea, entrando
in contatto con i più grandi matematici del tempo, fino a quando, nel 1933, i
nazisti la costrinsero ad abbandonare l’insegnamento e a rifugiarsi negli Stati
Uniti perché di religione ebraica.
Tra i
suoi meriti, ricordiamo soprattutto il teorema di Noether e gli
importanti contributi per la fondazione dell’algebra moderna. Designata come una
dei matematici più dotati del suo tempo e definita “la mamma dell’algebra
moderna”, non è esagerato dire che, senza eccezione, tutti i futuri migliori
giovani matematici tedeschi furono suoi allievi e, non fosse stato per la sua
razza, il suo sesso e le sue opinioni politiche liberali (peraltro moderate)
sarebbe divenuta professore d’alto rango in Germania.
IL
FEMMINISMO
Il
Femminismo è stata la prima forma di identità pubblica che le donne, prima una
agguerrita minoranza, poi in gruppi sempre più estesi, si sono date a partire
dalla fine del 1600.
Venezia, nel Seicento, fu il luogo sorgivo delle prime e radicali formulazioni
dell’idea femminista; infatti, a quell’epoca, si accese una accanita disputa in
merito alle capacità e al ruolo sociale delle donne.
Il
problema all’ordine del giorno verteva sulle trasformazioni economiche, sociali
e politiche che avevano posto le premesse di una
più ampia e consapevole partecipazione delle donne alla vita politica, artistica
e culturale; eppure molte di loro conducevano ancora una vita grama e
mortificante, erano escluse dai livelli alti dell’istruzione e da ogni ruolo
significativo e consegnate, vita
natural durante, o al matrimonio o alla clausura.
La tesi della superiorità e della eccellenza della donna prende forma dalle
figure esemplari tratte dalla storia e dalla cultura del passato, che
testimoniano come le donne si fossero sempre imposte con eccellenti risultati in
tutti i campi.
Tra queste Moderata Fonte, pseudonimo di Modesta Pozzo (1555-1592), la cui
opera, Il merito delle donne, narra un dialogo in prosa fra tre donne che
parlano liberamente dei propri problemi e dei propri desideri in casa di una
giovane vedova.
Oppure Lucrezia Marinelli, nata nel 1571, filosofa, autrice di un celebre
scritto su La nobiltà e l’eccellenza delle donne co’ difetti et
mancamenti degli uomini (1601), in cui la parte più suggestiva del testo è
quella relativa alle donne protagoniste della storia della letteratura e del
pensiero.
Ma anche Arcangela Tarabotti (1604-1652), suora benedettina, che propone la sua
idea “femminista” dall’interno della clausura: al moralismo maschile che
criticava lo sfarzoso e ingombrante abbigliamento femminile, ella contrapponeva
che la predica
non vale se fatta da uomini che sono primi essi stessi vanesi e vanitosi, che
lesinano sull’abbigliamento delle moglie, che risparmiano sulle mogli per
spendere con le prostitute.
Bisogna però aspettare storicamente fino alla Rivoluzione francese (1789) per
trovare documenti significativi sulla figura della donna. In Francia si afferma
Olympe de Gouges (pseudonimo di Marie Gouze, 1748-1793), famosa autrice della
prima
Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina (Settembre 1791),
che volle dedicare il saggio alla regina Maria Antonietta, da lei considerata
una donna oppressa come le altre.
L’intento della Dichiarazione era di rendere consapevoli le donne dei
diritti che venivano loro negati e di chiederne quindi la reintegrazione
affinché anche le donne divenissero delle cittadine a tutti gli effetti.
“La
donna – dice la dichiarazione – nasce libera e resta uguale all’uomo nei
diritti (art.1);
i
diritti naturali sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e soprattutto
la resistenza all’oppressione (art. 2);
tutte le cittadine devono essere ammesse ad ogni dignità, posto e impiego
pubblici secondo le loro capacità, e senza altre distinzioni che quelle
delle loro virtù e dei loro talenti (art.6);
la
donna deve poter esprimere liberamente i suoi pensieri e le sue opinioni
(art.11)."
In
Inghilterra, proprio nello stesso periodo, Mary Wollonstonecraft (1739-1797) è
autrice di un’opera intitolata Rivendicazione dei diritti della donna
(1792), che intende collocare le istanze di liberazione e di parità sociale e
politica delle donne nel contesto del
più generale programma illuministico dei diritti dell’uomo: esse devono
coinvolgersi pienamente nel progetto illuminista e riformatore riguardo
all’istruzione, ai diritti politici, alla responsabilità personale, alla parità
economica, a principi quali razionalità e virtù, libertà e felicità.
Anche in Italia ci furono opere simili: Rosa Califronia nel 1794 pubblicò il
libro intitolato Breve difesa dei diritti delle donne, e Carolina
Lattanzi nel 1797 leggeva all’Accademia di Pubblica Istruzione di Mantova la
memoria Sulla schiavitù delle donne.
Il vero e proprio femminismo nascerà però solo nell’Ottocento.
L’orizzonte eticopolitico del femminismo ottocentesco è stato quello
dell’egualitarismo fra i sessi e della emancipazione giuridica ed economica
della donna. Nel corso dell’Ottocento le femministe si sono comunque impegnate,
oltre che su obiettivi specifici, anche su tematiche riguardanti i diritti umani
e civili in senso ampio: le lotte per la libertà di pensiero e di associazione,
per l’abolizione della schiavitù e della prostituzione, per la pace.
Nella
seconda metà dell’Ottocento il segno politico del femminismo cambiò in seguito
ai processi di inurbazione e di industrializzazione che si svilupparono tanto in
Europa quanto negli Stati Uniti.
Non
solo donne colte e altolocate ma anche donne del ceto operaio e piccolo-borghese
furono coinvolte dal movimento socialista e da quello femminista, che
individuarono finalmente una strategia specifica per affrontare la “questione
femminile”.
Si deve però aspettare la metà degli anni ’60 del ventesimo secolo per vedere la
nascita del Movimento di liberazione della donna come espressione delle
contraddizioni del ruolo sociale femminile nei paesi del capitalismo avanzato
(Europa e USA): le rimostranze vertevano sull’inserimento economico ai bassi livelli del sistema, lo
sfruttamento del lavoro domestico, l’uso consumistico dell’immagine femminile,
l’educazione repressiva, l’estraneità delle donne ai partiti politici
tradizionali, esigenza di nuovi valori.
Nel 1963 apparve negli Stati Uniti un saggio di Betty Friedan, La mistica
della femminilità, in cui l’autrice sosteneva che nella società americana si
era giunti al punto di massima tensione fra la realtà della vita femminile e
l’immagine della donna proposta
dai mass media e dalla cultura ufficiale.
La
Friedan propose un nuovo programma di vita per le donne che demistificasse
lavoro domestico, matrimonio e maternità: le donne dovevano cercare un lavoro
creativo, superare il dilettantismo e puntare alla professionalità, cercare
livelli di istruzione sempre più alti.
Il dibattito si arricchì nel 1969 con la pubblicazione de La politica del
sesso di Kate Millet: con questo libro si inaugurò la tendenza
specificamente radicale del nuovo femminismo, una tendenza sessista e
separatista che alla fine analisi culturale e letteraria
univa il programma di una opposizione radicale contro la società, intesa
anzitutto come società maschile e patriarcale.
Da
questo punto in avanti, la storia del femminismo è cosa nota ed i suoi effetti,
positivi e negativi, sono ampiamente riscontrabili nella società attuale.
SUFFRAGIO FEMMINILE
La lotta per i diritti politici scandì le tappe della questione femminile nel
corso degli ultimi due secoli. Benché l’origine del movimento femminista risalga
all’epoca della Rivoluzione francese, alle petizioni inviate da Marie-Olympe de
Gouges (1748-1793) all’Assemblea costituente e alla spietata repressione dei
primi club femminili ordinata da Robespierre (1793), il tema del suffragio
femminile acquistò rilievo nel dibattito intellettuale solo verso la metà
dell’Ottocento, in coincidenza con l’emergere del principio di indipendenza
economica della donna: nacque in Gran Bretagna il movimento delle
suffragette, vòlto ad ottenere il suffragio elettorale femminile.
In verità, pronunciamenti in favore del voto femminile si erano già avuti in
Francia e in Inghilterra alla fine del XVIII secolo, ma un vero e proprio
movimento di donne sorse in Inghilterra solo nel secolo successivo. Ottenuto il
voto municipale (1869) e di
contea (1880), esso si pose l’obiettivo del voto per il parlamento.
Nel
1897 il movimento si strutturò nelle National Union of Women’s Suffrage
Societies.
Il rifiuto di concedere l’estensione del voto femminile portò Emmeline Pankhurst
a fondare nel 1903 un movimento che venne definito “militante”: l’Unione
nazionale sociale e politica delle donne.
Questo
si fece promotore di agitazioni culminate in numerosi arresti.
Tale movimento fu definito delle “suffragette” in contrapposizione a quello
delle “suffragiste” che perseguiva lo stesso obiettivo con metodi più moderati.
Interrotte le proteste nel 1914 per contribuire alla causa nazionale, nel 1918
le donne sopra i trent’anni
furono ammesse al voto politico e nel 1928 il suffragio fu esteso a tutte le
donne.
Anche
negli Stati uniti si formarono dal 1869 movimenti analoghi che riuscirono a
ottenere il suffragio nel 1920.
Il
movimento statunitense diede vita anche all’Alleanza internazionale per il
suffragio della donna.
Ma il
primo paese in cui le donne ottennero il diritto di voto fu l’Australia, nel
1903.
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