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OTTOCENTO
L’Ottocento presenta il fitto e appassionante intreccio tra “questione
femminile” e industrializzazione.
Nel
secolo dell’affermazione del modello borghese dei due sessi biologicamente
diversi e comple-
mentari, corrispondenti alla sfera pubblica e a quella privata, la discussione
incontra nuovi stimoli. Le donne fronteggiavano una realtà spesso in contrasto
con l’idea dell’angelo del focolare: entrano in fabbrica, i salari sono infimi e
il lavoro operaio si aggiunge a quello domestico.
Fioriscono allora le associazioni femminili e filantropiche, si fanno strada
correnti protofemministe e femministe.
L’epoca delle rivoluzioni, da quella americana del 1776 al 1848 europeo, partorì
anche l’idea della cittadinanza femminile.
Tra le
figure femminili del tempo, che si elevano per contrasto, emerge George Sand,
scrittrice francese, che rappresenta la classica donna emancipata considerata
nel suo tempo trasgressiva (vestiva da maschio e celebri erano i suoi amori, fra
i quali Chopin), oppure Anita Garibaldi, che conobbe Giuseppe Garibaldi nel 1839
lo sposò nel 1842, diventando l’emblema della donna che abbandona tutto per
seguire l’eroe.
In generale, nell’Ottocento, la donna diventa più autonoma: lavora in casa,
lavora in fabbrica e partecipa alle varie rivoluzioni. Con l’impiego di operaia
viene catapultata fuori dal suo piccolo mondo domestico, ma l’ingresso in
società fu brutale e la diffusione del lavoro femminile -nonché minorile-
avviene per pagare a basso prezzo la manodopera (essa costava la metà del denaro
riconosciuto a un uomo per la stessa fatica). A ciò va aggiunto come queste
unità lavoratrici avessero un comportamento
più docile di quello maschile, quindi riuscissero ad adattarsi più facilmente
alle regole della fabbrica. In questo periodo le donne lavorano nelle filande ma
anche nei campi poiché, con il trionfo del latifondo e la morte della piccola
proprietà, molte contadine
vennero assunte dai proprietari terrieri per lavori stagionali: dalla raccolta
delle olive al sud al lavoro nelle risaie al nord.
Per
tutte, gli orari erano massacranti e si aggiravano sulle 12 ore al giorno
compreso il sabato.
Anche nel XIX secolo le donne partorivano in casa, poiché solo le più ricche
avevano la possibilità di ricevere l’assistenza del medico e la mortalità
infantile era molto elevata a causa delle fatiche e degli stenti che pativano le
madri.
Nel
contempo, le stesse donne della piccola borghesia cominciarono a lavorare nelle
scuole o nelle aziende: accadde dunque che l’universo femminile incominciò ad
avere un ruolo attivo nell’economia del paese perché non solo si occupavano
delle attività domestiche e della famiglia, ma erano anche impegnate nel lavoro
dei campi, nelle industrie e nel lavoro a domicilio.
Crescendo coralmente la consapevolezza di ciò, le donne incominciarono a
battersi per ottenere miglioramenti economici (pur sempre inferiore a quella
degli uomini), ma soprattutto s’impegnarono per ottenere una legge che tutelasse
il lavoro femminile.
Cominciò così, con l’integrazione della donna nel sistema produttivo
capitalista, il lungo e faticoso cammino del popolo femminile per la propria
emancipazione ed è proprio nel corso dell’Ottocento che le idee sull’educazione
e sui diritti civili viene continuata
da Helen Taylor, che sarà fra le iniziatrici del movimento per la conquista del
voto alle donne in Inghilterra.
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