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    SACERDOTESSE VERGINI
 

Il culto della dea Vesta, presente nella mitologia greca col nome di Estia, la divinità del focolare domestico, dea della casa e della patria, fu introdotto in Italia, secondo la leggenda, da Enea.
Il suo culto consisteva principalmente nel mantenere acceso il fuoco sacro alla dea, il quale aveva un carattere simbolico.
Vestali si chiamavano le sue sacerdotesse, che lo dovevano perennemente tenere acceso.
Prescelte con sorteggio, all’atto della consacrazione, facevano dono della loro chioma alla Dea.

Tra i sei ed i dieci anni entravano nel collegio sacerdotale addetto al tempio della dea, e vi dovevano rimanere per trent’anni. Facevano solenne voto di castità e di non lasciare mai senza fuoco il sacro focolare, che era il simbolo della potenza romana. Per dieci anni servivano come novizie, per altri dieci come ministre del culto e per gli ultimi dieci come maestre delle novizie.
Le Vestali godevano di numerosi privilegi, fra i quali il non dover sottostare alla patria potestas. Occupavano posti distinti nelle cerimonie pubbliche e nelle riunioni solenni; potevano salvare dalla pena di morte i condannati che avessero incontrato mentre venivano condotti al supplizio; alla loro morte, venivano sepolte all’interno delle mura della città, un privilegio raramente concesso.
Le Vestali conducevano una vita agiata, possibile grazie alle elargizioni private ed ai lasciti testamentari. Anche molti imperatori lasciarono consistenti ricchezze all’ordine delle Vestali. Esse provvedevano inoltre ad aiutare i poveri ed i bisognosi, cosicché per Roma non girassero mendicanti. La vestale colpevole dell’estinzione del fuoco sacro veniva frustata dal Pontifex maximus, oppure, se violava il voto di castità, veniva sepolta viva nel campus sceleratus perché il suo sangue non poteva essere versato; il suo complice era punito con la morte per fustigazione. Compiuto il trentesimo anno di sacerdozio, potevano ritornare alle proprie famiglie e sposarsi.