TUTULA
Nel 390-389 a.C. i romani, che avevano appena ricacciato a nord i galli, si trovarono a fronteggiare l’attacco di Equi, Volsci e Sabini. Contemporaneamente, come racconta lo storico greco Plutarco nella Vita di Camillo, gli etruschi occuparono Sutri, città conquistata da Roma solo cinque anni prima, e i tribuni romani, accampati con l’esercito nel Castro Maecio, vicino a Lanuvio, furono cinti d’assedio dai latini, guidati da Lucio Postumo. Quasi sul punto di capitolare, chiesero aiuto a Roma, a Furio Camillo.
Il grande generale, che aveva sconfitto i galli, era appena stato proclamato dittatore, ovvero capo assoluto dello Stato pro tempore, per la terza volta.
Racconta Plutarco che i latini avevano proposto ai romani la pace in cambio delle loro ragazze, sia le vergini sia quelle che erano già madri: andavano bene tutte, purché fossero di stato libero e non schiave.
I romani ascoltarono la richiesta con sgomento: erano allo stremo e stanchi di combattere, ma la proposta sembrò loro inaccettabile. Mentre il Senato era riunito e qualcuno proponeva di mandare solo le vedove, tra la folla si fece avanti una schiava di nome Tutula.
Con un’audacia inaudita suggerì al dittatore e ai magistrati di lasciarla andare al campo dei latini vestita da donna libera, da matrona. E con lei una serie di altre belle ragazze: tutte schiave, molte anche prostitute, in ogni caso abbigliate come
giovani vergini romane di condizione libera. I magistrati accettarono e Tutula avrebbe condotto l’operazione.
Rivestite le giovani con abiti sontuosi e gioielli, i romani le consegnarono ai latini, ormai accampati alle porte di Roma.
Seguì una notte di bagordi, di festa e di sesso finché i guerrieri latini alla fine crollarono addormentati.
A quel punto Tutula si arrampicò su un albero di fico e, nascosta dietro un pesante panno di lana, accese una torcia verso Roma e fece un segnale ai magistrati.
Del suo piano erano a conoscenza solo loro, tanto che gli altri romani, spinti all’improvviso all’attacco, uscirono dalla città nel caos più totale. Gli ufficiali li incitavano e quelli avanzavano a tentoni nella notte chiamandosi ad alta voce per non perdersi: Caio, Lucio, Marco, Sempronio. La sbornia dei latini doveva però essere ben profonda perché non si svegliarono.
I romani conquistarono il campo avversario senza colpo ferire e lo distrussero in gran parte. Roma era salva. Entro la fine del 389 Furio Camillo avrebbe avuto ragione di tutti gli altri avversari della città.
I romani, che pure erano restii a riconoscere i meriti delle donne, non si dimenticarono di Tutula: l’evento era accaduto alle none di luglio, ovvero il 7 del mese.
Si decise di proclamare quel giorno festa religiosa.
La chiamarono Nonae Caprotinae, forse dal nome del particolare fico selvatico, il Caprificus, su cui si sarebbe arrampicata Tutula.